Intervento del Prof. Marco Galdi in occasione del "Magna Grecia International festival Metapontion 2018".

La diaspora greca e la diffusione della cultura ellenica e del filellenismo.


Matera, 5 maggio 2018



Diaspora è, evidentemente, un termine di origine greca: deriva dal verbo greco διασπείρω, letteralmente «disseminare», da διασπορά «dispersione» (σπείρω significa seminare; σπέρμα significa seme). Quindi il significato originario è quello della "dispersione di un popolo nel mondo dopo l'abbandono delle sedi di origine" (Dizionario Garzanti).

La diaspora più nota è quella ebraica, che si realizza dopo la tragica conclusione delle due grandi rivolte ebraiche nel 70 d.C. e nel 135 d.C. (Bar Kocheb), che producono la distruzione del tempio (di cui resta ancora oggi il “muro del pianto”) e l’abbandono in massa di Israele. In lingua ebraica, però, si utilizza per esprimere lo stesso concetto la parola “Tefutzah” o “Galut” (גלות), che significa letteralmente "esilio". Insomma, mentre nella lingua ebraica si sottolinea lo stretto legame del popolo con la sua terra (la “Terra promessa”), nella lingua greca si sottolinea come l’allontanamento del popolo dalla terra di origine produca un risultato positivo: disseminare, distribuire il seme della civiltà.

Ed è effettivamente ciò che è accaduto ripetutamente nella storia: la diaspora greca è stata il motore della diffusione di questa straordinaria cultura. 

La prima volta il fenomeno si registra con le colonizzazioni, che portarono dall’VIII al V secolo a.C. alla fondazione di nuove città greche in Italia meridionale e insulare, sulle coste mediterranee della Francia, della Spagna e del Maghreb, nonché sul Mar Nero: in qualsiasi di questi territori è possibile rinvenire evidenti tracce di ellenizzazione dei corredi funerari non solo, come è ovvio, appartenuti ai coloni greci, ma anche a quelli delle popolazioni indigene, che sono profondamente influenzate dalla cultura venuta dal mare. E come scrive Edith Hall (nel suo “Gli antichi Greci”, edito da Einaudi nel 2016) da questa dispersione del seme, la grecità trasse abbondante frutto, nella misura in cui la conoscenza di tante differenti popolazioni e civiltà consentì la sintesi che ha poi permesso quel big bang della civiltà, che si verificherà in Grecia fra il V e il IV secolo a.C.




Diaspore si ebbero poi con le conquiste di Alessandro Magno, con la nascita di quella Koinè linguistica e culturale che accomunava tutto il mediterraneo centro orientale ed i regni ellenistici e che consentì, ad esempio, la diffusione dei Vangeli, scritti appunto in greco. 

Contribuì, non poco, alla disseminazione della cultura ellenica la conquista romana: Graecia capta ferum victorem cepit, ci ricorda Orazio nelle Epistole (II, 1, 156) (la Grecia, conquistata [dai Romani], conquistò il selvaggio vincitore). Così che, non è azzardato dire che la cultura romana trovi il suo principale fondamento nella Grecia: dal suo Panteon, all’alfabeto, dalla ricezione di tanti vocaboli, magari con una diversa accentazione, alla sua letteratura. Solo per fare alcuni esempi, ad un greco, Livio Andronico, proveniente da Taranto (dove era nato circa nel 280 a.C.) si fa risalire l'inizio della letteratura latina; Plauto, per indicare il modo con cui propone al pubblico i modelli greci, usa l'espressione “vortit barbare”, “traduce in una lingua straniera”, cioè in latino; Virgilio nell’Eneide descrive un “nostos”, cioè un viaggio del ritorno che si collega direttamente all’epica omerica, mentre per le Bucoliche trova il modello in Teocrito, …

Ma l’esempio più eclatante di come la diaspora ellenica abbia prodotto l’inseminazione culturale dell’occidente si ha con il trasferimento tanto di intellettuali greci (parla di un “flusso migratorio elitario” Jannis Korinthios nel suo illuminante volume intitolato I Greci di Napoli e del meridione d’Italia dal XV al XX secolo, AM&D Edizioni nel 2012), quanto di intere comunità greche (lo stesso Autore parla di vere e proprie “migrazioni organizzate di masse”) verso l’accogliente Europa avvenute sia prima che dopo la caduta di Costantinopoli del 1453. 

Non è per nulla casuale lo svilupparsi in Europa, a cavallo di quegli anni, dell’Umanesimo prima e del Rinascimento poi: è noto che Boccaccio ospitasse a Firenze (1360-62) il calabrese Leonzio Pilato, facendolo nominare lettore di greco nello Studio fiorentino (a lui si deve la traduzione latina dei poemi omerici, dalla quale si conviene che abbiano inizio in Occidente gli studi greci); a poca distanza temporale, nel 1397, Emanuele Crisolora cominciò, sempre a Firenze, il suo insegnamento; e lo seguirono molti altri eruditi greci (G.G. Pletone, il Bessarione), prima in occasione del Concilio di Ferrara-Firenze (1438-39) poi per effetto della caduta di Costantinopoli in mano ai Turchi (1453: G. Argiropoulo, D. Calcondila, C. Lascaris). Il Cardinale Bessarione porterà numerosi codici greci in Italia, donandoli alla città di Venezia che li pose a base di una biblioteca pubblica, ed altrettanti codici giunsero a Firenze, Napoli e Messina. Nel 1465 lo Studio di Napoli riaprì, dopo la guerra di Ferrante contro gli Angioini, quattro cattedre di umanità, tra le quali una di greco, affidata a Giorgio da Trebisonda… Ormai nel XV secolo era matura la riscoperta dei classici.

Questa vicenda, fondamentale per la svolta rinascimentale, ci è raccontata da uno dei maggiori intellettuali italiani dell’800, Giacomo Leopardi, il quale, nel "Discorso in proposito di una orazione greca di Giorgio Gemisto Pletone", scrive: "Veramente è cosa mirabile questa nazione greca, che per ispazio dintorno a ventiquattro secoli, senza alcuno intervallo, fu nella civiltà e nelle lettere, il più del tempo, sovrana e senza pari al mondo, non mai superata: conquistando, propagò l'una e l'altre nell'Asia e nell'Affrica; conquistata , le comunicò agli altri popoli dell' Europa. E in tredici secoli, le mantenne per lo più fiorite, sempre quasi incorrotte; per gli altri undici , le conservò essa sola nel mondo barbaro, o dimentico di ogni buona dottrina. Fu spettacolo nuovo, nel tempo delle Crociate, alle nazioni europee: gente polita, letterata, abitatrice di città romorose, ampie, splendide per templi, per piazze, per palagi magnifici, per opere egregie d' arti di ogni maniera; a genti rozze, senza sentore di lettere, abitatrici di torri, di ville, di montagne; quasi salvatiche e inumane. All'ultimo, già vicina a sottentrare ad un giogo barbaro, e perdere il nome, e, per dir così, la vita, parve che a modo di una fiamma, spegnendosi , gittasse una maggior luce: produsse ingegni nobilissimi, degni di molto migliori tempi; e caduta, fuggendo dalla sua rovina molti di essi a diverse parti, un' altra volta fu all' Europa, e però al mondo, maestra di civiltà e di lettere". 

Ed ogni volta, accanto alla diffusione della cultura ellenica favorita dalla diaspora, fiorì il filellenismo, a dimostrazione che si è trattato sempre di fenomeni intimamente connessi. 

Ce lo ricorda uno dei maggiori poeti grechi di ogni tempo, Costantino Kavafis, nella poesia intitolata “Il Filelleno”. Riferendosi ad un ignoto re orientale, con dominio posto fra il Kurdistan (dove si trova la catena montuosa dello Zagro) e l’ Azerbaijan (dove si trova il Fraata), Kavafis ricorda le raccomandazioni impartite al responsabile della regia zecca, che doveva realizzare una nuova moneta, su un verso della quale il sovrano voleva incisa la parola “Filelleno”.

L’incisione sia fatta, bada, a regola d’arte.
Un’espressione dignitosa e seria. 
Meglio un po’ stretta la corona: 
quelle larghe, dei Parti, non mi piacciono. 
E l’iscrizione in greco, come al solito: 
non troppo esagerata né pomposa 
– che non abbia a fraintendere il proconsole 
che sempre scruta e riferisce a Roma – 
però, onorifica. 
Qualcosa di squisito anche sull’altra faccia: 
per esempio un discobolo, un giovinetto bello. 
Ma più d’ogni altra cosa raccomando 
(per Dio, Sitaspe, che non sia scordato!) 
che dopo le parole RE e SOTERE 
con caratteri scelti s’incida FILELLENO. 
Non cominciare, adesso, con le spiritosaggini 
(“Dove sono gli Elleni?” o “Cosa c’entra 
la lingua ellenica di là dallo Zagro e Fraata?”). 
Tanti e tanti lo scrivono, più barbari 
di noi: dunque anche noi lo scriveremo. 
E, dopo tutto, non dimenticare 
che talora ci arrivano dalla Siria sofisti, 
e versaioli, e altri perdigiorno. 
Senza cultura ellenica non siamo, credo. No? 

In estrema sintesi il Filellenismo consiste in ciò: nella consapevolezza che “senza cultura ellenica”… semplicemente non siamo!

E quindi, dalla diaspora greca è sparso il seme della cultura ellenica … e da questa è nutrita ancora oggi quella straordinaria passione, quella curiosità, quel sentimento, quella solidarietà, quella ricerca di tutto ciò che è, in ogni tempo, Grecia, che reca il nome di filellenismo …



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